Tutto cominciò con un topo…
Ho scoperto da poco il vostro sito. Non sono uno psicologo. Ho l’impressione che il vostro sito sia aperto solo a psicologi; se è così, non ha senso continuare questa e-mail, se invece accettate che non psicologi possano scrivere e commentare/condividere pensieri e scambiare opinioni, bene sono pronto a fare qualche domanda. Desidero sapere come mai si usa antropomorfizzare oggetti o animali nei cartoni animati per bambini (i film Disney ne sono pieni di esempi: animali che parlano, scope, e vasellame varia, pesci…). Un bambino piccolo che vede un cartone dove un pesce parla, non rischia di apprendere informazioni errate? E infine, spesso gli animali vengono scelti per il loro simbolismo: cavallo che corre = libertà, leone = maestà, regalità, fierezza, cane= amico fedele, eccetera.. Mi rendo conto anche che in talune occasioni tutto ciò è usato come metafora (la formica e la cicala, la fattoria degli animali….). E veniamo a quello che mi arrovella maggiormente: il topo. Nella realtà il topo ripugna mentre nei cartoni è spesso rappresentato come personaggio positivo, intelligente (Topolino per tutti). Anche in pubblicità (parmigiano reggiano, merendine per ragazzi) è rappresentato come esperto, uno che la sa lunga sull’argomento. Vorrei vedere la gioia che provano i produttori del parmigiano se scoprissero di avere un topo che gironzola fra le forme di formaggio nei loro magazzini di stoccaggio. Non vedo discrepanza nell’associazione formica=laboriosità, leone=maestà, perché tra metafora e sentire comune c’è accordo; la stessa cosa non si può dire per il topo reale e il topo rappresentato. Mi aiutate a capire? Grazie”
Lettera firmata
COMMENTO REDAZIONALE DI ILARIA FABBRI
“L’agnello cominciò a seguire il lupo nelle vesti di una pecora.” Esopo
“Tutto è cominciato con un topo!” Walt Disney
Questa richiesta giunta qualche tempo fa in redazione mi permette di affrontare un argomento che si colloca a metà strada tra psicologia, filosofia, religione, letteratura e cinematografia. Una tematica ricca e complessa che, nello specifico di quanto segnalato, riguarda il massiccio utilizzo da parte dei media di animali con caratteristiche simili a quelle umane, nel cinema di animazione come negli spot pubblicitari. Più in generale questa modalità può essere definita antropomorfismo (dal greco anthrōpos, “umano”, e morphē, “forma”), cioè la tendenza ad attribuire caratteristiche fisiche o psicologiche umane a esseri diversi dall’uomo (1) o a fenomeni naturali o soprannaturali, in particolare divinità (2). Le origini di questa tendenza si perdono nella notte dei tempi e risalgono a quando, da sempre, gli esseri umani assegnavano connotazioni divine ad eventi che non erano in grado di spiegare. In antichità si trovano diversi esempi di zoolatria, cioè di culto degli animali o di figure mitologiche aventi caratteristiche zoomorfe. A partire da Dagon, metà uomo e metà pesce e precursore del greco Tritone, nell’antica Mesopotamia, al Drago Celeste, arricchito con elementi del giaguaro, del caimano e del cervo, tra i Maya (2). Ma è l’antico Egitto a rappresentare l’esempio forse più florido e a noi più vicino del culto degli animali. Anubi, il Dio della Morte, è rappresentato come un uomo con la testa di sciacallo, Bastet, divinità solare, ha il corpo di donna e la testa di un gatto, infine Ra, Dio del sole, ha il corpo umano e la testa di un falco. Queste divinità rappresentavano l’incarnazione dell’energia vitale della natura, degli animali e dell’uomo stesso in un tutt’uno magico.
La tradizione greca delle favole di Esopo, giunte fino a noi in un corpus rimaneggiato nel tempo a tal punto da rendere impossibile rintracciarne la fisionomia originaria, costituisce uno degli esempi forse più significativi di antropomorfismo attribuito agli animali. I protagonisti di queste storie sono generalmente animali (leone, volpe, asino, etc.) tratteggiati attraverso una tipologia psicologica ben delineata ma non rigida, tanto da essere proprio questo l’aspetto forse più interessante: così la volpe, che in molti casi incarna simbolicamente la furbizia, in altri viene ingenuamente gabbata. Gli animali, simbolo metaforico dei caratteri tipici dell’essere umano, rappresentano un valido strumento per esprimere al meglio considerazioni sull’uomo e sulla società: con gli stessi pensieri, gli stati d’animo e i difetti dell’uomo, ripropongono aspetti della sfera umana, certe volte criticandola altre volte compiacendola. Tra le favole più note, un paio di titoli “La volpe e l’uva” o “La cicala e le formiche” (3) sono forse tra quelli maggiormente entrati a far parte dell’immaginario e del nostro patrimonio culturale collettivo.
La nascita del cinema di animazione rappresenta un’altra tappa fondamentale per l’antropomorfismo. Nel corso del diciannovesimo secolo si susseguirono svariati tentativi, esperimenti e ricerche, volti ad ottenere l’illusione del movimento. Il cinema d’animazione si definisce infatti come un mezzo espressivo che fa nascere il movimento grazie alla proiezione di immagini statiche realizzate una ad una e proiettate ad una velocità di circa 24 fotogrammi al secondo. Fin dal suo esordio, il cinema di animazione ha dimostrato un solido legame con le arti figurative e ciò è ben dimostrato dal fatto che i primi a cimentarsi con questo nuovo mezzo espressivo furono proprio gli illustratori e i caricaturisti, i pittori d’avanguardia e i primi fumettisti. Forse non è un caso se nello stesso anno, il 1895, nascono sia il cinematografo che il primo fumetto a strisce seriale, Yellow Kid. Qualche anno più tardi viene alla luce il primo gatto antropomorfizzato creato appositamente per le produzioni animate: “Felix the Cat“, realizzato da Pat Sullivan e prodotto dalla Paramount. Si tratta di un felino con atteggiamenti spesso umani, soprattutto quando deve escogitare soluzioni nell’esercizio di problem solving: lo si vede camminare su e giù pensieroso, il volto preoccupato e le braccia incrociate dietro al busto. La prima star felina del cinema di animazione è stata presto oscurata però proprio da un topo, suo antagonista d’elezione: era il 1928 quando il poi diventato celeberrimo Walt Disney ideò Mickey Mouse. Nelle primissime animazioni Topolino era ben diverso da quello che conosciamo attualmente: graficamente spigoloso, irriverente e provocatorio all’inizio, dalle forme tondeggianti, saggio e metodico oggi.
Riprendendo il filo del tema citato all’inizio, il mio personale percorso di elaborazione mentale mi porta a questo punto ad introdurre la definizione di metafora e l’utilizzo che di questa si può fare in ambito terapeutico. Infatti la presenza di animali connotati umanamente nel cinema di animazione, come negli spot pubblicitari e più generalmente nell’ambito di ciò che riguarda gli spettacoli per bambini, naturalmente ha a che fare con il simbolico più che con il reale. Se pensiamo al significato della parola “metafora”, dal greco meta che significa “sopra” e phorein che significa “trasportare o portare da un posto all’altro”, possiamo forse immaginarci come spettatori trasportati dentro una realtà simbolica, dove gli animali parlano, camminano eretti e si approcciano alla vita allo stesso modo in cui vi si rapporterebbe un essere umano. E’ una modalità di porsi secondo un orientamento attivo del pensiero, un modo originale di attribuire sensi diversi alle medesime realtà. In questa ottica, ciò che si può ottenere non è verità assoluta, ma uno stimolo verso nuovi pensieri, emozioni e sentimenti grazie alla compresenza di logica ed immaginazione (4). Umanizzare animali, oggetti o situazioni significa ricorrere volontariamente a contraddizioni logiche capaci di stimolare la ricerca di un corretto referente e a promuovere la soluzione del problema, mentre la mente viene incoraggiata a confrontare i diversi livelli cognitivo ed emotivo, razionale e intuitivo, oltre che a cogliere significati più pertinenti e a sviluppare nuove associazioni (4). Gli animali antropomorfizzati negli spot e nei film funzionano perché regalano speranze, stimolano la creatività, alimentano i sogni, ma possono anche far riflettere, elaborare idee, arricchirci di suggestioni.
Venendo al topo, argomento che arrovella particolarmente il nostro lettore, mi viene da considerare che la connotazione ripugnante comunemente fornitagli potrebbe essere semplicemente influenzata dalla cultura di provenienza. In Cina, per esempio, ai nati sotto il segno del topo vengono attribuite caratteristiche estremamente positive di furbizia, precisione, forza di volontà e altro ancora (6). Ad una collega invece è capitato di ascoltare il racconto di un sogno da parte di una sua paziente al centro del quale c’era proprio un topo: le associazioni che sono emerse in questo caso erano soltanto positive, di piacevolezza e simpatia, forse perché questa paziente aveva sempre abitato in campagna. La rappresentazione degli animali nei media tengono sicuramente conto dell’immaginario collettivo e da quello traggono spunto. Ecco forse spiegato il motivo per cui molte volte c’è corrispondenza tra la caratteristica rappresentata e quella popolarmente attribuita all’animale. Ma è probabile che, se andassimo un po’ più a fondo, di rappresentazioni positive sui topi ne salterebbero fuori, come dimlostra il racconto della collega, a discapito di quelle negative che gli occidentali abituati a vivere in città attribuiscono loro. Che poi i roditori vengano scacciati dai magazzini di stoccaggio dei produttori di formaggio e più in generale di altri prodotti alimentari corrisponde a una specifica norma legislativa sanitaria, oltre ad essere una tutela per i consumatori.
Mi piacerebbe a questo punto ricordare un argomento che abbiamo già approfondito in passato: la corrispondenza emozionale tra esseri umani e animali (http://www.osservatoriopsicologia.com/?s=puglisi&submit.x=18&submit.y=1). La tendenza all’antropomorfismo che troviamo negli animali rappresentati dai media incarna forse l’esatto contrario di ciò che le neuroscienze e gli studi scientifici più recenti affermano: nella realtà non sono gli animali a comportarsi come piccoli esseri umani, quanto invece è la specie umana ad avere un sistema nervoso in forte continuità evoluzionistica rispetto a quello di altre specie. Ciò comporta che, a fronte di tante differenze comportamentali e macroscopiche, esistono in realtà tante affinità e similitudini che sicuramente sono in grado di agevolare la comunicazione interspecifica e le affinità tra specie diverse, oltre a consentire la nascita e il consolidamento di un vero e proprio legame di attaccamento. A patto però che questo non sconfini nell’antropomorfizzazione a tutti i costi, esagerata e ad effetto potenzialmente nocivo che certi proprietari di animali d’affezione talvolta mettono in atto nei confronti dei loro amici a quattro zampe (5). A volte basterebbe davvero un po’ di buon senso per capire che ciò che va bene per noi, o ancora ciò che noi abbiamo scelto consapevolmente e volontariamente, potrebbe non andare altrettanto bene per i nostri adorati amici animali. Rispetto e tollenza reciproca, similitudini e differenze richiedono di avvicinarci al mondo animale con apertura e ironia per quanto riguarda il piano della fantasia, ma con molta serietà, competenza e soprattutto buon senso per quel che concerne la realtà.
Riferimenti bibliografici:
(1) www.dizionario-italiano.org
(2) www.wikipedia.org
(3) www.lefiabe.com
(4) Casula, C. (2003). Giardinieri Principesse Porcospini. Metafore per l’evoluzione personale e professionale. Franco Angeli, Milano
(5) http://www.ilrespiro.eu/articolo1.asp?id=62
(6) http://it.wikipedia.org/wiki/Topo_(zodiaco_cinese)