Meditazione in soccorso alle crisi del Default Mode Network
di Emma Maria Comensoli
Prendo spunto da un recente articolo per allargare lo sguardo alla cultura e all’efficacia della meditazione.
Spegnere il Cervello. La Meditazione per contrastare il Rimuginio. http://www.stateofmind.it/2012/04/meditazione-default-mode-network/
Secondo i nuovi dati di un gruppo di ricerca del Department of Psychiatry della Yale University, la tecnica della meditazione disattiva l’area cerebrale nominata Default Mode Network (DMN) (1) e argina la produzione della ruminazione mentale.
Parlando di meditazione si tende a restringere l’interesse ai suoi aspetti funzionali applicativi e a non vedere la presenza del significato che ha attinto nel lontano luogo di nascita; così pure l’efficacia della pratica meditativa, che ha a che vedere con le culture in cui è esercitata e che credono possibili determinati eventi più che altri.
Oggi, come dice la sociologia, è finito il tempo delle grandi narrazioni della verità, le scienze sono spezzettate, la filosofia è distante e la credibilità dei più giovani nelle cose è spostata in un generico molle “dipende”. Nell’olismo antico come nelle grandi connessioni postmoderne, la meditazione assolve i compiti più svariati che le epoche culturali le chiedono: dalla meditazione Vipassana alla tecnica che calma il rimugino dove, rilevante, è sempre ristabilire un’armonia nell’essere umano.
Le ruminazioni sono pensieri ripetitivi che mettono in stato di semi-allerta il cervello.
Nel disturbo ossessivo compulsivo, le ruminazioni sono vere e proprie ossessioni che hanno radici nel lavoro di spostamento simbolico dal corpo al pensiero, dall’oggetto precluso al piacere alla sua manipolazione mentale. Per evitare la soddisfazione pulsionale diretta portatrice d’ansia, il soggetto inibisce l’azione a favore di una soddisfazione pensata. A sua volta il piacere pensato richiede un contenitore mentale che lo controlli.
Pensieri assillanti si trovano molto di frequente anche nelle depressioni sotto forma di previsioni pessimistiche che il soggetto ripete incessantemente con grande povertà semantica tra sé e sé. Lo stesso negativismo pervade il ricordo delle esperienze passate e la raffigurazione del presente. In questo caso la parola della ruminazione rivela tutta la sua origine corporea, perde la flessibilità simbolica per assumere la consistenza del trauma sottoforma di ritorno minaccioso al corpo come nelle ipocondrie e nelle costellazioni etiologiche delle patologie organiche. L’integrazione di pensiero ed emozione subisce una scissione o, forse, non ha mai avuto luogo. Le immagini che accompagnano i pensieri ossessivi hanno spesso un repertorio bidimensionale, vale a dire che rispecchiano la stessa mancanza di un contenitore emotivo.
Le ruminazione emergono soprattutto quando il soggetto è libero da precisi impegni di esecuzione e si abbandona al diretto movimento dei suoi pensieri. Nella letteratura del secondo Ottocento, grandi narratori come Italo Svevo e James Joyce svelano la tecnica del flusso di coscienza: il soggetto narrante riproduce inalterato il discorso interno alla sua mente, il passaggio da un pensiero all’altro, evidenziando così il carattere contraddittorio e non sempre organizzato dei pensieri che passano nella mente umana. Le persone che soffrono di ruminazioni mentali sono incastrate in un loop del discorso interno che probabilmente le rende incapaci di passare alla normale attivazione delle regioni cerebrali implicate nei compiti della vita esterna. Si ipotizza che la rete delle aree cerebrali implicate nell’assenza di compiti attentivi esterni, si attesti su un alto livello di attivazione che si spegne a fatica ostacolando la natura, la perdita e la ricostituzione della coscienza soggettiva.
Il default mode network, si attiva quando i processi psichici sono prevalentemente rivolti verso il mondo interno (come quando ci si trova a compiere azioni routinarie). La neuropsicologia pensa che attività psichiche quali il daydreaming (il sognare ad occhi aperti), il ricordo di eventi passati, l’anticipazione di traguardi futuri siano processi correlati al DMN. In altre parole il cervello a riposo attiva le aree neurologiche deputate al DMN come la corteccia cingolata e la corteccia prefrontale mediale, mentre il cervello concentrato sul compito (come nel gioco, nel problem solving posing) le disattiva a favore di altri circuiti cerebrali con modalità tra loro interdipendenti ancora poco conosciute. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2896018/
Secondo l’articolo menzionato la pratica della meditazione, fa stare sul momento presente e deattiva i network di default.
Lo scopo principale della meditazione qui inteso è l’approdo al presente, al “qui ed ora”, unica dimensione realmente esistente a differenza del passato e del futuro che esistono solo nella nostra mente. Ora, mentre passeggiare tra i nostri pensieri è una condizione del tutto normale, l’inarrestabile susseguirsi di idee autoreferenziali ferma il soggetto in una dimensione temporale inesistente (nella misura in cui i modi del tempo siano percepibili).
La tecnica della meditazione può esser utile a modificare l’esperienza individuale con se stessi e con il mondo attraverso l’attenuazione/dissoluzione dei pensieri parassitari e la comprensione profonda dell’esser presenti alla vita.
Vista da un’angolazione clinica, la meditazione è una tecnica terapeutica o addirittura una anticipazione della psicoterapia cognitiva tradizionale, ma per capire il suo più autentico significato occorrerebbe conoscerne la radice storica. Lo stesso termine meditazione ha diverse accezioni: originale greca, meléte (la Musa mitologica della meditazione), latina meditatio, concentrazione e riflessione, Cristiana, preghiera, (intrattenimento con Dio).
Noi siamo abituati a pensare che l’Occidente sia la parte razionale del mondo per fare quello che hanno fatto filosofi come Hegel e i rappresentanti del Positivismo: una traduzione per cui la razionalità occidentale deriva da quella greco-latina. In sinergia con il sistema formativo e il sistema economico (bellico e farmaceutico in primis), hanno contribuito a formare una visione funzionale della vita che ha il suo emblema nel paradigma riduzionista della scienza, grazie al quale si sono registrati innegabili progressi nella cura e nella qualità della vita in genere.
Tuttavia la demarcazione tra la superiorità razionale greca e la mistica orientale non è antitetica e neppure tanto vera. In comunione d’intento sin dall’antichità, i medici si sono posti la stessa domanda che oggi può esser formulata così: cosa succede nel cervello del paziente in una relazione medico-psicologica? Con Ippocrate è fuori dubbio che la relazione è a tre (medico, paziente, malattia) e che la consapevolezza riveste un ruolo fondamentale. In questo quadro, il medico per conoscersi deve guardare negli occhi dell’altro, vedere la sua umanità nell’altro, ma non lasciarsi travolgere; da parte del malato serve un’azione in prima persona che, in alleanza con il medico, combatte la malattia. Già agli albori della medicina il medico cinese antico e il medico greco antico avevano intuito che salute e malattia non potessero partire dal sintomo ma dal soggetto ma che sono un attributo del soggetto.
Il guaritore è un mediatore dell’arte, la tecnica del terapeuta guarisce, la guarigione avviene nel malato quando apprende l’arte di vivere. Questo percorso del paziente dalla malattia alla salute in Grecia antica veniva chiamato epimeleia heautou; al medico spettava il compito di prescrivere i diaita (alimentazione, sonno, riposo ecc.).
In Cina, intorno al IV sec a.C., il percorso analogo si chiamava Yangsheng (nutrire la vita).
Con l’epoca Han intorno al II a.C. l’universo medico imbocca la strada delle grandi specializzazioni che si decentreranno in mondo occidentale e mondo orientale, ma la vita di grandi medici testimonia che le loro due anime non saranno mai completamente separate (2-3).
Da qualche decennio la meditazione ha ripreso quota nella letteratura medico-psicologica perché ci stiamo confrontando con nuovi modelli che, in una spirale più ampia, ricalcano le tracce degli antichi maestri: cogliere l’individuo in una rete di relazioni dove la psiche è riconosciuta come risorsa della salute fisica.
Negli anni Settanta, il biologo Jon Kabat-Zinn intuisce lo stretto rapporto tra corpo e mente espresso nella sintomatologia delle stress: fonda la “Clinica per la riduzione dello stress basata sulla coltivazione della Consapevolezza” e mette a punto il programma di auto accettazione “Mindfulness Based Stress Reduct” (MBSR).
http://www.michaelmetzner.de/Arbeiten/Mindfulness.pdf
L’accesso curativo introdotto dalle intuizioni scientifiche di Jon Kabat-Zinn, è alla portata di tutti e asseconda quella gran parte della popolazione che cerca di imparare il proprio benessere e di costruire la salute, come esemplificato nel seguente articolo.
http://www.osservatoriopsicologia.com/2011/09/24/settembre-mese-di-ripensamenti-e-se-pensassimo-ad-%E2%80%9Callentare%E2%80%9D-un-po%E2%80%99/
Una recente scienza in particolare, la Psiconeuroendocrinoimmunologia o PNEI (4), sta descrivendo una grande rete di rapporti fra psiche, sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario sostenuta da un neurotrasmettitore, il neuropeptide. Da questo Network dipendono la nostra vita, il benessere e la malattia. Più che a far nascere una nuova specialità medica, la PNEI fornisce la base per prospettare nuovi approcci convergenti allo stato di salute-malattia.
Per esempio, se e come si connette l’impiego della pratica meditativa nella cura dei disordini fisici?
Per finire, Damasio (con il contributo di sua moglie Hanna) ha introdotto il corpo nella discussione scientifica sulla coscienza con il doppio merito di ridare una base biologica alla coscienza e all’organismo il ruolo di esperto cosciente. Il costrutto di Damasio è sostenuto dall’osservazione dei clinici che si sono interessati al suo pensiero. Secondo Damasio, la mente si forma dalla prima rappresentazione di noi stessi cosicché coscienza ed emozione sono inseparabili; di conseguenza, nella psicopatologia, alla coscienza lesa corrisponde un’emozione non integra.
http://www.filosofico.net/damasioantonio.htm
In pazienti Alzheimer è stata registrata iperattività della rete neurale specifica del riposo cerebral. L’uso di tecniche meditative anche in questi casi estremi potrebbe attenuare gli eccessi del DMN con un probabile effetto protettivo. Questa ricerca è importante in questo contesto perché fa sorgere un’ipotesi di conferma nei riguardi del modello di Damasio nell’ambito della patologia organica del pensiero cosciente che tocca la corrispondente vita emozionale circolante nel flusso di coscienza.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC384799/
La meditazione attraversa la cultura di ogni tempo lasciando intravedere un isomorfismo dell’interazione corpo mente spirito. Nell’attualità di questa grande crisi, la meditazione ci offre un filo per ripensare con fiducia la nostra storia di esseri umani senza cadere nell’antropocentrismo.
BIBLIOGRAFIA
1 http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2605172/
2 Filosofia per la medicina, medicina per la filosofia. Grecia e Cina a confronto
Bottaccioli Francesco, Tecniche Nuove, Gennaio 2003
3 Meditazione psiche e cervello. Una guida per accostarsi in modo scientifico alle tecniche meditative (Le guide di Natura & Salute) di Antonia Carosella e Francesco Bottaccioli (Brossura – 5 set. 2003), Tecniche Nuove Edizioni, Gennaio 2003,
4 Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI)
voce di Treccani Medicina, vol 3, Cervello Mente Psiche, Roma 2010
28 maggio 2012
Grazie. Articolo molto utile.
Sarebbe interessante capire a quale meditazione ci si riferisca, visto che il campo è veramente molto ampio.
Inoltre visto che la maggior parte delle tecniche meditative si applica all’interno di sessioni specifiche, mi chiedo se l’effetto curativo permanga anche alla fine della sessione.
Grazie
Daniele
28 maggio 2012
Molto facilmente si rifersisce alla meditazione vipassana, alla meditazione trascendentale o alla mindifullness. Sono le tre meditazioni sulle quali sono state fatte ricerche fino adesso.
2 settembre 2012
@denise,
Grazie ma la discriminazione non appare semplice. Conosco piuttosto bene la meditazione.
La Vipassana, meditazione tradizionale buddhista, l’ho appresa a Marradi. Ma ci sono anche altri centri, che fanno riferimento ad Osho, che praticano una Vipassana totalmente differente da quella tradizionale…
Lo stesso dicasi per la mindfulness, che in origine prese i principi della Vippassana e li riconfezionò vendendoli…
Oggi mindfulness è un marchio. Basta dare un’occhiata su siti come IBS o BOL per rendersi conto di quanti testi facciano riferimento a questa tecnica personalizzando l’intervento…
Come succede un pò ovunque, anche nelle arti marziali tradizionali, è necessario capire bene l’origine, il maestro dell’insegnamento…
Si può sapere a quale vipassana, mindfulness o trascendentale si riferiscano i dati?
Grazie, Ciao.
Daniele
28 maggio 2012
Molto interessante. Ho praticato in stages di diverso tipo alcune tecniche meditative: stranamente quelle dinamiche con linguaggio corporeo stimolato da musiche non mi produceva effetti veramente rasserenanti, forse perché sono danzaterapeuta e entro nel qui ed ora in totale consapevolezza di me solo nell’improvvisazione con una musica scelta da me. Mentre per liberare la mente ho sperimentato effetti duraturi con una meditazione indiana ( purtroppo non ricordo il nome) emettendo suoni spontanei con gruppi consonantici privi di senso, senza soluzione di continuità, per circa 15 minuti. Nel riposo successivo non c’erano più pensieri, ma atti creativi, realizzazione fluida di disegni , a colori e non, come un fiume verso la foce. un senso di libertà appagante. Anche nella notte successiva sognavo di riuscire a fare cose che normalmente mi metterebbero paura, come andare in bicicletta in discesa ripida con occhi chiusi.
E’ faticoso e serve un gruppo nel quale ti rispecchi. da sola cedo prima.
3 giugno 2012
sono d’accordo con Denise che molto probabilmente ci si riferisce ai tre tipi di meditazione da lei citati. Nella mia esperienza, si continua certo a trarne qualche beneficio se un tipo di meditazione viene praticata con una certa frequenza, periodicamente strutturata, e per un arco di tempo piuttosto lungo (come con lo yoga, per intendersi).
A mio avviso queste tecniche non vanno assimilate però tout court a forme di psicoterapia, ma si pongono come attivatori di una dimensione spirituale; solo secondariamente e conseguentemente possono contribuire al benessere psicologico. Roberto
29 giugno 2012
Gentili lettori, le vostre osservazioni sono oggetto di interesse e vorrei tenerne conto in una parte del prossimo articolo dedicato alla meditazione, nonchè abbozzare qualche risposta. A presto,
Emma Comensoli