Un computer da pelle

SEGNALAZIONE

Gentile Redazione,
navigando sul web mi sono imbattuto in questo articolo in cui si citano notizie che sembrano cambiare l’orizzonte del rapporto tra uomo e tecnologia…cose che già si profetizzavano nel cinema decenni fa, certo, ma penso che sarebbe necessaria una riflessione sulla questione del controllo che una tecnologia del genere pone ed anche un pensiero sulla questione sollevata dall’espansione di quell’area di confine tra la biologia e la tecnologia e sull’incidenza che tale espansione potrebbe avere sul versante psicologico individuale, per esempio sulla trasformazione del sentimento dell’identità ed anche sul versante relazionale. Amo la tecnologia e tutto ciò di buono che essa apporta, ma mi lascia molto perplesso, in quanto essere UMANO e in quanto psicologo (che conosce, quindi, l’importanza delle relazioni) questa tendenza, appunto ossessiva, ad assimilarsi sempre più alle macchine e a renderci la vita apparentemente più semplice ma, invariabilmente, creando sempre più distanze (anche se apparentemente le accorcia) fra le persone e robotizzando sempre di più le persone.
Come tutte le cose, possono avere risultati positivi o negativi a seconda di come le si usa. Intravedo la necessità di elaborare una riflessione più critica su questo argomento e vi chiedo aiuto!

Lettera firmata

ARTICOLO ORIGINALE
http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/08/13/news/impalpabile_e_flessibile_il_computer_sulla_pelle-20419657/?ref=HREC2-7

PARERE DELLA DR.SSA SIMONETTA PUTTI

Sono stata interpellata dall’Osservatorio Psicologia nei Media al fine di stilare un parere riguardo ad articolo pubblicato da Repubblica.it a firma di Tiziano Toniutti in data 13 agosto 2011 dal titolo Impalpabile e flessibile il computer è sulla pelle.
L’articolo sinteticamente annuncia, nel sottotitolo, che sono: “In fase di sperimentazione dispositivi in grado di essere applicati al corpo, potenti come i pc ma leggerissimi e pieghevoli. Veri e propri tatuaggi elettronici, che possono essere utilizzati in ambito medico, militare e professionale.”
L’articolo, presenta quindi, sinteticamente, il dispositivo come: “una tecnologia sviluppata dall’équipe del professor Todd Coleman all’università dell’Illinois at Urbana-Champaign ” ovvero “un circuito elettronico che, per la prima volta, non è rigido ma si può adattare alla forma a cui aderisce senza che questo limiti le capacità di elaborazione, è grande come un francobollo e più sottile di un capello umano.”
Dal report dei dati, l’articolo si sposta al futuro immaginabile: “Non solo: non ha bisogno di adesivo per aderire al corpo, ma si aggancia in virtù di forze elettrostatiche naturali. Uno smart-tattoo, un vero esoscheletro elettronico: immaginarne una rete, distribuita su tutto il corpo e in grado di comunicare verso l’esterno, significa immaginare un essere umano in cui l’identità digitale arriva a sovrapporsi a quella biologica.”
E conclude: “Già oggi smartphone, tablet e pc sono estensioni quasi naturali dei nostri corpi, ma ancora ben confinate nel loro mondo. Qui si parla quasi di fusione. E il mondo fantascientifico di Blade Runner non è più così lontano.”
In sintesi,  l’articolista sembra evidenziare i possibili rischi connessi all’alterazione di identità..
Ai fini di una più ampia documentazione, cercando nel web  – alla data del 12 agosto – trovo segnalazione della tecnologia de quo nel sito della rivista Science http://www.sciencemag.org/content/333/6044/838.abstract
e – alla data del 13 agosto – trovo numerose segnalazioni del dispositivo in oggetto in siti a carattere medico, tecnologico, estetico.
Attraverso la lettura delle varie notizie si apprendono ulteriori dati sulla struttura e sulle funzioni del dispositivo;
all’indirizzo: http://www.medicinalive.com/medicina-tradizionale/nuove-frontiere/tatuaggio-elettronico-rilevare-segni-vitali-pazienti/
“…  per tatuaggio intendiamo una scheda elettronica impressa sulla pelle, più sottile di un capello. Verrà applicata sulla pelle, senza fili né colla e sarà in grado di monitorare insieme molte funzioni, senza bisogno di collegare elettrodi e macchinari di diversa tipologia. Grazie alla sua particolare composizione sarà morbida e flessibile ed in grado di assecondare i movimenti della pelle umana. Il suo nome è EES, acronimo di Sistema elettronico epidermico. Si tratta di una sorta di chip grande appena 50 micron che aderendo alla pelle non solo è in grado di far seguire ai medici le funzioni vitali del paziente attraverso di esso, ma è anche in grado di essere applicato nella medicina “ricostruttiva” dando modo ai pazienti di recuperare la sensibilità tattile, aiutando gli stessi a guarire da particolari ferite ed ustioni. Questo ultimo utilizzo è ancora al vaglio, ma è apparso evidente,  attraverso una  sperimentazione,  come senza problemi di rigetto sia in grado di far monitorare diversi parametri vitali senza interferenze. Non solo, si tratta di un dispositivo dotato di “autoricarica” corredato di mini antenna wireless per le comunicazioni e di celle solari per rifornirsi di energia. Appare evidente, ad ogni modo, che in ogni caso la medicina del futuro si  propone già da ora di essere sempre meno invasiva e traumatica per i pazienti  che ne usufruiranno.”
Qui l’articolista sembra sottolineare i vantaggi del dispositivo in questione.
A fronte dell’articolo segnalato da OPM, emergono alcune  considerazioni:
In prima istanza,  l’impatto della notizia può essere forte: un computer sulla pelle, che può diventare parte della pelle… il tatuaggio.. l’identità… il cyborg.. l’uomo ibridato dalla macchina…
La pelle è un significativo elemento strutturale dell’Uomo, considerato come unità somato-psichico-relazionale: per  Esther Bick1, la pelle nel bambino svolge un ruolo di contenimento e collegamento delle componenti della personalità, che originariamente non hanno ancora capacità coesiva:  la pelle funziona come confine; solo quando la funzione sarà introiettata sarà possibile superare lo stadio iniziale di non integrazione e costruire, differenziando, uno spazio interno ed uno esterno.
Per Didier Anzieu2, la percezione della pelle – acquisita dal bambino attraverso le prime esperienze di contatto tra il proprio corpo e quello della madre – diviene  precursore del concetto di IO, configurando un concetto di IO-Pelle. La consapevolezza progressiva della propria superficie corporea fornisce la possibilità di differenziare lo spazio interno ed esterno e  di contenere il proprio materiale psichico; la pelle diviene anche il luogo privilegiato della comunicazione con gli altri.
In questa prospettiva, ogni intervento e / o manipolazione della pelle non è privo di conseguenze.
In seconda istanza, la riflessione e la memoria ricordano dispositivi ed impianti tecnologici in uso sin dagli anni 60  in campo medico. Come semplici esempi  l’holter ed il pacemaker, le protesi, gli arti artificiali ((vedi il notissimo caso delle gambe artificiali del corridore Pistorius)….
Non sembra esserci quindi nel dispositivo E.E.S. un elemento di novità assoluta, ma la particolarità è nella dislocazione, nel suo situarsi a contatto della pelle, sulla pelle, aderendo sulla pelle..…
A fronte di quanto sopra,  ci sembra che l’E.E.S. – attraverso il concetto di computer ‘wearable’ (indossabile) – ci richiami ad un discorso più ampio, ovvero all’Uomo tra Naturale e Artificiale, sino alla manipolazione ed alla paventata ibridazione dell’Uomo da parte della Macchina…
Credo qui utile tracciare un sintetico quadro. Nell’immaginario collettivo, la possibile fusione tra uomo e macchina è presenza antica e ricorrente,  già annunciata ben prima dell’invenzione della cibernetica e poi amplificata dagli scrittori di Fantascienza,  trovando nelle rappresentazioni cinematografiche icone significative come nel Blade Runner (1982) citato dall’articolista; lo scrittore Arthur Clarke ha preconizzato una sorta di immortalità elettronica allorquando sarà possibile un riversamento dei nostri contenuti mentali in una memoria di calcolatore elettronico (Mind Uploading).
Nel nostro tempo, le manipolazioni del corpo operate dalla Medicina e dalla Chirurgia fanno parte del bagaglio informativo del medio uomo contemporaneo:  il corpo viene manipolato a scopo curativo ma anche migliorativo (chirurgia estetica); viene variato ed alterato anche il concetto di un’identità stabile legata al corpo biologico; è stata variata anche la consueta categoria di durata media della vita stanti le metodiche che l’ hanno, talora incongruamente, protratta.
Nell’ampia gamma di operatività oggi consentita, dagli impianti di dispositivi e protesi ai trapianti di organi, dagli interventi che incidono sul patrimonio genetico alle terapie basate sulle cellule staminali, il concetto di uomo naturale è andato progressivamente sfumando.
La distinzione tra naturale e artificiale diventa sempre più problematica e configura una scena complessa che richiama il pensiero di Donna Haraway3, secondo la quale la spinta a migliorare ciò che è naturalmente determinato costituisce la base della cultura umana. Nella teorizzazione della Haraway (di matrice femminista ma estensibile al nostro discorso) la cultura occidentale si basa su una struttura binaria costituita da coppie di categorie contrapposte (uomo/donna, corpo/mente, naturale /artificiale..) e questi dualismi sono stati funzionali a logiche di dominio: nell’ auspicato superamento di questa ottica  la Haraway introduce la figura del cyborg – che in una certa misura tutti noi siamo – come metafora di una nuova condizione umana.
Dal mito platonico attraverso l’alchimia, l’arte, la tecnologia, sembra affacciarsi una nuova possibile figura del nostro tempo: l’androgino cyborg…. ?
Né possiamo dimenticare che già dalla metà degli anni 80 lo sviluppo progressivo e interconnesso delle I.C.T. (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) si è immesso nella quotidianità, amplificando in modo prima impensabile le possibilità umane e quindi  alterando  la stessa percezione della realtà. Per  Derrick de Kerkhove4 –  nella dimensione del Wirelessness –   il telefono cellulare, in quanto strumento che può essere portato costantemente con noi e vicino al nostro corpo, va a configurare quasi un nuovo organo di senso, come estensione diretta del tatto, della vista, dell’udito.
Intanto, il fenomeno della globalizzazione, con i connessi rischi e benefici, ha configurato germi di mutazione che hanno investito la sfera dell’intera esistenza: cambiamenti rilevanti si sono verificati nell’ambito non solo dell’informazione-comunicazione, della produzione e del consumo, ma anche della relazione interpersonale, della fruizione del piacere e della sessualità, modificando e sfumando l’identità stessa dei soggetti5.
L’Io è andato progressivamente presentandosi come istanza sempre meno unitaria, a rischio anche di frammentazioni e proiezioni; il Sé non di rado è andato configurandosi come proteico6, abbozzando via via una identità multipla e decentrata, da non considerarsi necessariamente come segno di isteria o schizofrenia 7. Nella scena collettiva, l’idea della Morte appare emblematica di una junghiana scissione degli opposti: spesso oggetto di rimozione o spettacolarizzazione, tra ricerca spasmodica dell’eterna giovinezza e apoteosi della terza o quarta età8.
I sintetici cenni sopra delineati per ricordare come le possibilità umane e gli stessi confini del corpo siano andati aprendosi e ampliandosi, con innegabili ricadute sulla percezione di sé e della propria identità.

In questo sfondo, l’introduzione e la diffusione degli E.E.S. cosa potrebbe configurare e quali conseguenze potremmo attenderci sul versante psicologico-relazionale?

Premettendo che già da tempo il nostro privato spazio interno è stato sfidato e ristrutturato dai media elettronici, che insieme costituiscono il cyberspazio nel quale ci muoviamo e che per Michel Benedikt è già un nuovo luogo della coscienza, si possono avanzare alcune considerazioni ed ipotesi.
Ricordando che i dispositivi in oggetto si situano sulla pelle, confine tra esterno ed interno, verrebbe in un certo modo alterato il confine, potendosi quasi trattare di una tecnologia border-line.
Potrebbe verificarsi, a livello psicologico, un rifiuto-rigetto o al contrario  una interiorizzazione degli E.E.S., sino ad una identificazione, parziale o totale, con essi.
Nella seconda ipotesi, potrebbe verificarsi un riaggiustamento/sfasamento dell’identità che verrebbe a inglobare il dispositivo come parte di sé;
potrebbero verificarsi fenomeni di dipendenza dal dispositivo che – usato al di là del territorio medico e militare – andrebbe a configurare ulteriori estensioni delle possibilità di comunicazione e controllo.
Nella relazione con l’Altro, laddove prevalesse un disagio-rifiuto-rigetto dell’impianto, gli E.E.S, potendo attivare un vissuto di discriminazione, potrebbero costituire ostacolo alla relazione interpersonale; laddove prevalesse una interiorizzazione-identificazione, gli E.E.S., potendo amplificare le capacità di comunicazione-controllo (sino al rischio dell’onnipotenza), potrebbero almeno in apparenza facilitare le relazioni.
Stante la particolare dislocazione del dispositivo sulla pelle, potremmo attenderci una accentuazione della superficialità, del rilievo dato all’immagine (Lash9, Debord10).
Nell’immaginario, la gamma di eventi e ricadute attendibili andrebbe ulteriormente allargandosi laddove si ipotizzasse un E.E.S.  invisibile…
Credo però opportuno porre adeguato limite anche alle ipotesi possibili, cercando di mantenere uno sguardo aperto ma distinguente sui due fronti della realtà e della fantasia, auspicando nel contempo  la costituzione di commissioni bioetiche che sappiano illuminare il procedere delle conoscenze e limitare, ove opportuno, le applicazioni derivabili.
La sfida posta al pensiero umano dal progresso scientifico,  tecnologico e biologico  dovrebbe, auspicabilmente, impiantarsi in una rinsaldata consapevolezza dei limiti opportuni ed in una sostanziale etica della responsabilità.
Ricordando che l’avvento delle nuove tecnologie ha sempre visto la compresenza di atteggiamenti contrapposti  tra tecnofobi e tecnofili (Somalvico11), dalle catastrofiche previsioni di  Paul Virilio12 all’avvento di una intelligenza collettiva e di una mente connettiva ipotizzato da Paul Levy13 e Derrick de Kerhove14, ci possiamo attendere che anche gli E.E.S. vadano ad attivare allarmi e / o entusiasmi.
Se volessimo, qui giunti,  avanzare una ipotesi lungo le linee portanti del dentro – fuori e quindi anche dell’ estroversione – introversione, potremmo dire che la sfida del presente si gioca in una zona limite, la zona della soglia tra dentro e fuori, quindi nel e attorno al confine.

Simonetta Putti
Simonetta Putti, Analista Junghiana, socia del C.I.P.A  (Centro Italiano di Psicologia Analitica) e della I.A.A.P (International Association  for  Analytical Psychology), socio fondatore del C.S.P.L  (Centro Studi Psicologia e Letteratura fondato da Aldo Carotenuto).
Note
1 Bick, E., (1968), The Experience of the skin in early object-relation, in Meg Harris Williams, Collected Papers of Martha Harris and Ester Bick, The Clunie Press, Pertshire, Scotland, 1978
2 Anzieu, D., (1985), L’Io pelle, Borla Editore, Roma, 1994
3 Haraway, D., (1991), Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Milano, Feltrinelli 1995
4 De Kerckhove, D., L’Architettura dell’intelligenza, Testo & Immagine, 2001
5 Turkle, S., (1996), La vita nello schermo, Milano, Apogeo, 1997
6 Lifton, R.Y., The Protean Self: Human resilience in an Age of fragmentation. New York, Basic Books,1993
7 Callieri, B., (1999), Post-fazione a La mente in Internet, Cantelmi T. et AA, Padova, Piccin Editore, 2000
8 Putti, S., Il limite come attrattore di senso, in Giornale Storico del Centro Studi Psicologia e Letteratura, vol.6-10, 2010, Roma, Fioriti Editore
9 Lasch, C., (1979), La cultura del narcisismo, Milano, Bompiani, 1981
10 Debord, G. E., (1967), La società dello spettacolo, Milano, Baldini & Castoldi, 1997
11 Somalvico B. , Né tecnofili, né tecnofobi, in La realtà del virtuale, Bari, Laterza, 1998
12 Virilio P., Cybermonde: la politique du pire, Textual, Paris, 1996
13 Lèvy P., L’intelligenza collettiva, Feltrinelli  Editore, Milano,  1996
14 de Kerckhove D., La pelle della cultura, una indagine sulla nuova realtà elettronica, Costa&Nolan,
Genova, 1996

Chiara Santi

Author: Chiara Santi

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