Perché i “bipolari” sono più creativi
Danilo Di Diodoro
DAGLI STUDI
Perché i «bipolari» sono più creativi
Anche Vincent Van Gogh, Virginia Woolf e Ernest Hemingway ne soffrivano
Un leggero tocco di maniacalità è un ingrediente magico per lo sviluppo della creatività. Diversi studi hanno dimostrato che tra chi svolge professioni creative esiste una percentuale di persone affette da disturbo maniaco-depressivo (talora chiamato anche bipolare) nettamente superiore a quella esistente nella popolazione generale. Un ruolo centrale è giocato soprattutto dagli stati maniacali, caratterizzati da sintomi quali stato d’animo euforico, aumento dell’autostima, pensieri che si succedono rapidamente, scarso bisogno di sonno.
I DATI – Dati statunitensi indicano che tra coloro che svolgono professioni creative la percentuale di maniaco-depressivi è di oltre l’otto per cento, mentre nella popolazione generale è solo dell’un per cento. D’altra parte, è stato scoperto che circa l’otto per cento delle persone affette da disturbi bipolari può essere considerato creativo. Il legame dunque esiste, anche se, come ricordano Greg Murray e Sheri Johnson in un recente articolo di revisione sull’argomento, pubblicato su Clinical Psychological Review, deve ancora essere dimostrato in maniera definitiva, perché finora è emerso più che altro da studi di casi singoli piuttosto che da ampi studi epidemiologici, che sarebbero molto più solidi da un punto di vista scientifico. Inoltre, il legame sembra non essere lineare: chi soffre delle forme maniacali più gravi è meno capace di generare creatività rispetto a chi soffre di forme più leggere. Un’esperta in materia è Kay Redfield Jamison, professore di psichiatria alla Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, uno dei partecipanti di spicco della settima conferenza mondiale The future of Science, intitolata quest’anno Mind: the essence of Humanity, che si terrà dal 18 al 20 settembre a Venezia alla Fondazione Giorgio Cini sull’isola di San Giorgio Maggiore. Secondo la professoressa Jamison: «sono decenni, o veramente secoli che l’umore elevato è stato messo in relazione in qualche modo e sotto certe circostanze, alla creatività. Così è in realtà anche per altri aspetti, come il temperamento, il sottostante dono dell’immaginazione, la capacità di riflettere e di imparare dalle avversità. Poi la depressione può facilitare la riflessione, almeno fino a un certo punto».
VAN GOGH, WOOLF ED HEMINGWAY -Molto nota soprattutto negli Stati Uniti, anche per aver lei stessa sofferto di disturbi bipolari, la professoressa Jamison è autrice del libro Touched by the fire (trad it. Toccato dal fuoco, TEA 2009), nel quale utilizza le conoscenze di genetica, neuroscienze e farmacologia, per svelare i rapporti tra genio creativo e follia, un compito che la porta a rivisitare le vite di geni maledetti, come Virginia Woolf, Vincent Van Gogh ed Ernest Hemingway. Gli scritti della Jamison, ma anche le sue numerose interviste televisive e partecipazioni a eventi pubblici, sono finalizzate tra l’altro ad aiutare i malati ad affrontare i propri disturbi, oltre che a elevare il livello di consapevolezza sociale di questa che una volta era considerata una sorta di romantica follia. Nel corso degli ultimi anni i ricercatori hanno anche provato a definire quali sono le singole componenti di personalità necessarie per lo sviluppo della creatività.
APERTURA ED ESTROVERSIONE – Secondo Murray e Johnson, un elemento centrale sarebbe la condizione mentale di apertura verso le nuove esperienze e le nuove idee, perché è proprio a partire da esse che la creatività può edificare le sue costruzioni. Poi bisogna tenere conto del livello di originalità dei pensieri che si riescono a produrre, un tratto che può sfociare anche in quei tratti di antisocialità che non infrequentemente si trovano nelle personalità molto creative. Infine c’è l’estroversione, quella particolare forma di apertura verso gli altri che caratterizza soprattutto gli artisti che effettuano performance, come musicisti, cantanti e attori, mentre risulta meno presente tra coloro che lavorano essenzialmente nel proprio studio, senza avere contatti diretto con il pubblico, come scrittori, pittori e compositori. Da un punto di vista neurobiologico, invece, sembra che la creatività possa essere sostenuta al neuromediatoredopamina, una sostanza che nella cosiddetta area mesolimbica (nella parte più centrale del cervello, dove ha sede il cosiddetto “circuito della gratificazione”) è responsabile della genesi di stati d’animo positivi, ma anche di fenomeni connessi alla maniacalità. E quando si cominciano a generare associazioni mentali che scorrono veloci ed è attiva la capacità di generare immagini mentali, allora vuol dire l’attività creativa è certamente al lavoro.
Danilo Di Diodoro
11 settembre 2011
Ma la fantasia non toglie la sofferenza
Diversi grandi hanno pagato con periodi di angoscia l’ideazione travolgente
Se complessi sono i rapporti tra malattie e creatività, basti pensare all’epilessia in Dostoevskij, alle cefalee di De Chirico, alle sinestesie di Nabokov, all’insonnia di Proust o di Montale, all’ipocondria di Kafka, nel dibattito tra genio e sregolatezza il disturbo bipolare svolge un ruolo centrale. Edgar Allan Poe, in preda all’alcol e alla paranoia, affrontò il quesito se la follia rappresenti l’intelligenza più elevata oppure no, se tutto ciò che c’è di glorioso e di profondo non sgorghi da una malattia del pensiero, dagli umori di una mente esaltata a spese dell’intelletto generale.
Spesso, nella biografia dei personaggi più dotati nei vari settori artistico, del pensiero o della politica, sono riscontrabili momenti ascrivibili al disturbo bipolare. Tra i primi personaggi grandiosi troviamo i due Michelangelo, Buonarroti e Merisi, detto il Caravaggio. Il primo ebbe documentate crisi depressive, con intense meditazioni sul peccato e sulle angosce della morte seguite da fasi di sublime produzione artistica frutto di uno stato di maniacalità, fonte della sua scintilla creativa. Anche Caravaggio ebbe un percorso analogo con maggiori tratti di impulsività incontenibile alternati con profonde crisi depressive e laceranti problematiche religiose. Tra i pittori l’elenco sarebbe molto lungo; citiamo, uno per tutti, il grande Van Gogh: gli aspetti deliranti che caratterizzarono la sua vita sono stati riprodotti nelle sue opere dove alle fasi maniacali riscontrate nei quadri pieni di luminosità accecante fanno da contraltare le tele buie popolate dai incubi tipici della polarità depressiva. Tra i musicisti troviamo il romantico Robert Schumann la cui produzione fu fortemente influenzata dallo stato dell’umore. Infatti compose 24 opere nel 1840 e 27 nel 1847, periodi di ipomania, mentre non compose nulla negli anni 1833/34 1843/44 mentre era in profonda crisi depressiva. Sempre tra i musicisti chi poteva ben comprendere Schumann, in quanto ugualmente sofferente del drammatico alternarsi di deliri di grandiosità e abissi di disperazione, furono Tchaikoskij, Hendel con le sue ricorrenze stagionali (in estate grande produttività artistica, poi ” caduta” invernale), Berlioz e Mahler.
Tra gli scrittori esempi di bipolarità si ritrovano in Lord Byron, Tolstoj e in particolare in Virginia Woolf e in Hemingway. La Woolf, durante i lunghi periodi di depressione trascorsi a letto aveva modo di riflettere sulla correlazione tra la sua malattia e la sua creatività, arrivando alla conclusione che solo in uno stato di malattia si è in grado di vedere ciò che in condizioni normali risulta invisibile, si riesce a scrutare l’immensità e contemporaneamente a scorgerne i dettagli. Heminguay, caratterizzato da una pesante famigliarità per questa patologia, rivela con il suo stile letterario una forte personalità molto tormentata, con repentini cambi di umore, accompagnati da insonnia cronica e abuso di alcol. Egli conclude la sua vita così come l’avevano conclusa il padre e altri membri della famiglia: suicidandosi. Infine, Sir Winston Churchill, colui che guidò l’Inghilterra nel corso della seconda guerra mondiale, anch’egli con un patologia famigliare molto pesante, alternava periodi di profonda depressione, che chiamava «il cane nero», a periodi di impetuosità irrefrenabile con ideazione travolgente. Tutte le personalità citate sono esempio emblematico di quanto il disturbo bipolare possa incidere sulla creatività. Ma contemporaneamente non possiamo non ricordare che la sofferenza profonda di questi personaggi famosi riflette la stessa sofferenza silenziosa che patiscono tutti i pazienti affetti da bipolarità, che oggi possono però ricevere valide cure.
Claudio Mencacci, Direttore Neuroscienze A. O. Fatebenefratelli, Milano
11 settembre 2011 10:40