Gli psicologi non esistono
SEGNALAZIONE
Domenica 24 gennaio 2010 al programma Elisir, di Mirabella, si è parlato di obesità e successivamente di anoressia chiedendo definizione e pareri vari ai medici. La dottoressa che ha risposto ha accennato che è un problema con risvolti psicologici ma di fatto ha definito lei stessa la problematica in maniera sommaria non essendo il suo campo Non si è parlato di cura e non si è accennato al fatto che la soluzione e la guarigione sia legata esclusivamente ad un intervento di tipo psicologico sulla famiglia ed insieme sulla persona. In questa trasmissione si parla spesso di problematiche con risvolti pesanti sul piano psicologico ma non vengono mai invitati gli psicologi. In passato si era parlato di Panico. La trasmissione è legata ad evidenziare la “cura” di patologie e le soluzioni oltre alla definizione delle stesse. Ma non tutte le “patologie” di cui si parla sono risolvibili esclusivamente con cure di ordine medico e comunque molte sono da abbinare per la relativa cura ad un sostegno psicologico, pena l’insuccesso delle terapie. Anche parlando di obesità in questa trasmissione del 24 non si è fatto assoluto cenno. Si parlava di desiderio e di motivazione alla cura ma rispetto all’approccio e alla soluzione di fronte a meccanismi di negazione del problema non si è fatto cenno. Questo irrigidisce la mentalità delle persone e non aiuta a “comprendere” le soluzioni che ora per grazia di Dio ci sono. Inoltre la categoria professionale ne esce come al solito “distrutta” Questo aumenta la distanza con i medici e non aiuta ad una giusta divulgazione della psicologia e relativa psicoterapia quale soluzione, non magica, ma reale dei problemi di natura comportamentale, relazionale, familiare e propri delle dinamiche personali. Grazie
Daniela Benedetto
PARERE DEL DR. EMANUEL MIAN
Responsabile Unità per i Disturbi del Comportamento Alimentare
Clinica Salus Alpe Adria
Consigliere Onorario della Corte d’Appello di Trieste, Sezione Minorile
Rivedendo per intero la puntata del programma “Elisir”
(http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-a25d384f-8557-4e18-8306-090ff1fb451e.html)
devo convenire su molti punti oggetto della segnalazione e vorrei a mia volta segnalarne altri, a mio avviso molto importanti.
Durante il programma condotto da Michele Mirabella con tema “obesità ed osteoporosi” erano presenti in studio: un ginecologo, un endocrinologo ed una nutrizionista. Nessuno psicologo o psicoterapeuta.
Si iniziava spiegando l’etimologia dei termini obesità e metabolismo (“indubbiamente” informazioni molto utili per chi soffre di problemi di peso) e si parlava dell’argomento, testuali parole, utilizzando termini quali “magri sfondati e magri ascetici”.
Soprassedendo su ciò, mentre veniva illustrata come da copione, la “piramide alimentare”, ponendo l’esempio della banca che non “stacca assegni” per spiegare l’aumento di peso negli esseri umani, l’endocrinologo presente in studio, parlava di tale problematica asserendo che “è tutta questione di cervello”.
È quindi curioso non vi fosse in studio chi è del “mestiere”, cioè uno psicologo o uno psicoterapeuta e il presentatore non pareva (purtroppo) darvi molta importanza anche quando venivano descritti comportamenti che andavano modificati nei pazienti obesi.
Nel corso della puntata sono stati quindi forniti i soliti bonari consigli riguardo la “corsetta che permetta quell’affannino” (testuali parole) o i 20km in bici da farsi quotidianamente allo scopo di perdere peso.
Quando si è parlato di motivazione, di senso di inadeguatezza e di predittori di insuccesso nella terapia, l’atteggiamento era tipicamente quello di delegare quasi totalmente al malato l’azione per uscire dal problema.
Se il paziente fosse in grado di mangiare “di meno” e “muoversi di più” come si richiedeva in studio, perché avrebbe bisogno di rivolgersi dunque al professionista?
Sarebbe stato importante spiegare l’utilità della necessaria compresenza di un ausilio psicologico alla gestione del peso per il paziente obeso e superobeso.
Aiuto, questo, che deve essere fornito dalla figura dello psicologo, mediante un supporto che accompagni il paziente verso una graduale correzione dello stile di vita che l’ha condotto al peso corporeo attuale.
Nel 2010 non è più possibile sperare di aggredire tale problematica parlando di quanto sia necessario fare attività fisica e che si debba evitare cibi ricchi di grassi o ipercalorici al fine di risolvere il problema.
L’approccio psicologico a tali disturbi è vitale per ogni intervento di successo, in quanto il disturbo viene riconosciuto ben dopo.
Importante certamente è informare durante questi programmi televisivi sui rischi legati all’ obesità (tumori, turbe della riproduzione, cardiopatie, apnee notturne) e spiegarne i meccanismi, ma in questo modo si tende a lavorare sul “dopo” senza compiere un’opera preventiva.
I consigli quindi forniti in studio sembravano per molti telespettatori quasi una presa in giro per chi quotidianamente soffre di tali disturbi e si affida con fiducia a chi dovrebbe curarlo: non redarguirlo.
Veniamo però alla spiegazione dell’anoressia fatta dalla dottoressa presente in studio durante la puntata oggetto principale della segnalazione.
La breve risposta ha tenuto presente unicamente un fattore, quello socioculturale, in grado da solo, secondo la nutrizionista, di spiegare insorgenza e mantenimento di tale problematica.
Veniva inoltre detto che le anoressiche mirano ad uniformarsi al canone estetico di estrema magrezza e perdono peso per questo motivo, mentre pochi secondi prima la stessa persona parlava di un problema di tipo emotivo con un substrato psicologico.
Ho notato quindi una fuorviante confusione nell’informazione fornita ai telespettatori, che potrebbe far pensare all’anoressia nervosa come a un “capriccio adolescenziale” o ad un mero desiderio di uniformarsi agli altri.
Non è ovviamente così, ma Michele Mirabella rincarava la dose asserendo che l’eziologia della malattia sia da ricercarsi negli studi televisivi.
A mio avviso andrebbe evitata una informazione di questo tipo in quanto è fortemente limitata ad una visione unidimensionale del problema che invece, nella pratica clinica è complesso e multifattoriale.
Sempre secondo la dottoressa in studio, inoltre, l’anoressica rifiuterebbe ogni tentativo di modificare i suoi comportamenti disfunzionali verso il cibo e per questo risulterebbe una paziente difficile da trattare che dovrebbe necessariamente essere seguita, come gli obesi, da un team multidisciplinare che comprenda anche lo psicologo.
Concordo con questa unica informazione fornita, ma come mai non c’era in studio un collega?
Uno psicologo avrebbe potuto, ad esempio, arricchire la puntata informando i telespettatori riguardo quali siano i “campanelli d’allarme” e quali azioni intraprendere al fine di aiutare chi soffre.
Avrebbe potuto delineare meglio i confini della patologia chiarendone l’eziopatogenesi e fornendo anche informazioni sulle possibili cure e modalità di interazione che i familiari potrebbero tenere al fine di motivare la persona durante il trattamento. Questo, a puro titolo d’esempio ovviamente e spunto per la redazione del programma.
Infine, sempre la dottoressa presente in studio, concludeva dicendo che alla base dell’anoressia ci sarebbe sempre un conflitto con la figura materna.
Un messaggio di questo tipo, oltre a denotare una scarsa conoscenza della psicopatologia, colpevolizza immediatamente ed inutilmente le migliaia di madri in ascolto che stanno lottando insieme alle proprie figlie contro questa malattia.
La risposta più adeguata sarebbe stata che l’adolescenza rappresenta sempre un momento di conflitto con i genitori e poiché essa è una malattia che colpisce prevalentemente ragazze giovani, in passato, il rapporto conflittuale tra madre e figlia ha rappresentato un’ipotesi da molti studiosi ritenuta plausibile.
Non l’unica in grado di spiegare i fattori scatenanti la malattia e neppure la più accreditata.
Diversamente da quanto è stato fatto, il programma avrebbe dovuto addentrarsi nell’illustrare possibili percorsi di cura che, è bene ribadirlo, non riconducono unicamente al ruolo del medico, ma anche ad altre professionalità che includono un supporto psicologico e motivazionale.
Lo psicologo è una figura che a pieno titolo è inserita in ogni equipe multidisciplinare che si occupi di obesi e superobesi (Sesto rapporto sull’obesità in Italia-edizioni Franco Angeli 2006).
Non ci si spiega ancora una volta come mai ne venga solo marginalmente fatta menzione in un programma che parla di salute e benessere.
Come ribadito anche in un precedente parere (http://www.osservatoriopsicologia.com/2009/12/16/lanoressia-sono-affari-tuoi/) l’informazione che si continua a fornire nei media, pare essere che i disturbi inerenti il corpo ed il peso siano di pertinenza esclusiva del campo medico, mentre è ormai risaputo che sia necessario l’intervento psicologico sin dall’inizio di qualsiasi terapia che intenda aggredire la problematica.
Ad esempio è stata presa in causa la scarsa motivazione dei pazienti, il numero di diete precedentemente fatte e il basso tono muscolare e si parla sempre di un team nel caso di problemi di peso, ma non si sono forniti consigli sulla cura se non quello di rivolgersi al medico di base. Un consiglio utile ma insufficiente a mio avviso, ancor di più se si parla di anoressia nervosa.
Il medico di base potrebbe non tenere debitamente conto dell’ambiente dove il problema si mantiene ed I fattori che possono averlo scatenato. Questo è rilevante ai fini di una corretta diagnosi e di un trattamento di successo e non sempre il medico potrebbe inviare ad uno psicoterapeuta per una co-terapia
Inoltre giova ricordare che l’anoressia non è rappresentata unicamente da un sottopeso marcato ma implica anche un disturbo dell’immagine corporea: siamo sicuri che tutti i medici di base siano addestrati a riconoscere adeguatamente un problema di questo tipo? Siamo certi che nel dubbio invieranno ad un collega psichiatra o ad uno psicologo per avere una diagnosi corretta ed adeguata rispetto al disagio del paziente?
Abbiamo assistito quindi ad un programma che non ha aggiunto nulla di nuovo e che reputo un’occasione persa al fine di fornire valide informazioni agli italiani che soffrono, e sono molti, di problemi legati al cibo ed al proprio peso.
25 febbraio 2010
Vorrei aggiungere che ciò che è accaduto durante la puntata della trasmissione è solamente l’ultimo esempio di una consuetudine ormai consolidata nell’ambito dell'”informazione” sulla salute. Basta guardare tutti i giorni la rubrica del Tg2 “Salute” per poter vedere servizi riguardanti attacchi di panico, depressione, disturbi del sonno durante i quali vengono intervistati nella maggior parte dei casi dei neurologi con eccezione di qualche psichiatra. Basti riflettere sul titolo del servizio che più mi è rimasto impresso: “Lo shopping compulsivo, sentiamo il parere del neurologo”…Verrebbe da pensare che la comunità medica si stia mettendo in una posizione di difesa in un contesto scientifico che vede crescere il numero degli studi che da una parte attestano la grande efficacia della psicoterapia (soprattutto cognitivo-comportamentale) nel trattamento di disturbi oggi, purtroppo, dilaganti come quelli legati all’ansia e alla depressione e dall’altra ridimensionano notevolmente l’utilità dei farmaci (ad esempio, l’ultimo lavoro del prof. Irving Kirsch)…e se questo venisse divulgato in maniera realmente massiva, immaginate le perdite in termini di danaro per le case farmaceutiche…
7 marzo 2010
Premesso che concordo pienamente con le valutazioni fatte, devo purtroppo, e dolorosamente, aggiungere che negli ultimi anni siamo stati proprio noi Psicologi a distruggere e svalutare la nostra bella e complessa professione.
Faccio l’esempio di Roma e del Lazio, dove vivo e lavoro. Gli Psicologi di vari Enti formativi hanno formato e continuano a formare, attraverso costosissimi Corsi, centinaia di figure professionali ibride: counselor, mental trainer, pedagogista clinico.
Questi “professionisti” dell’ascolto succesivamente aprono Studi di Consulenza giocando sull’ambiguità delle parole (ascolto psicologico, problemi individuali, problemi di coppia, preoccupazioni personali, tristezza).
L’utenza, che fa ancora fatica a capire effettivamente chi sia e cosa faccia lo Psicologo e ancor meno lo Psicoterapeuta, si affida a questi professionisti pensando di andare da uno Psicologo. Un pò come succede a chi va da un Odontotecnico pensando di essersi affidato ad un Dentista.
Una volta gli Psicologi guardavano ai Medici come potenziali competitor e questo, comportava, comunque, una motivazione alla formazione di alto livello. Oggi si assiste ad una competizione con le figure ibride, il che produce un appiattimento verso il basso.
Da tanti anni, quando mi trovo di fronte ad un grande gruppo di persone (formazione, incontri con genitori nelle scuole etc), mi diverto a fare un esperimento: inizio l’incontro con una domanda “Qualcuno in sala saprebbe dirmi chi è uno Psicologo, uno Psicoterapeuta, uno Psichiatra?”. Se ne sentono delle belle, ma quasi nessuno, tranne qualche collega in sala, sa fare una caratterizzazione delle diverse figure professionali.
8 marzo 2010
Concordo pienamente con le considerazioni sulla marginalizzazione mediatica degli psicologi, ma vi è anche da chiedersi: cosa ci abbiamo messo di nostro, noi psicologi, per essere margianalizzati dai media, e più in generale dall’insieme della società? Come mai nascono figure di pseudo-psicologo che inflazionano e degradano la professione? Non sarà forse che gli psicologi non sono in grado di far crescere la loro disciplina e conferirle un definitivo ed unitario status scientifico? Quando ci proponiamo, così fieri e astrusi, con le nostre inutili problematiche epistemologiche, volendo proporre una veste filosofica ed improntata alla molteplicità culturale della nostra disciplina, non legittimiamo forse la nascita di quei sottoprodotti (counselor, coach ecc.) che così tanto contestiamo? Io credo proprio che noi psicologi dovremmo recitare il mea culpa. Non è certo colpa dei consuleor o dei coach dell’anima, se la psicologia clinica è rimasta impantanata nelle scuole di pensiero nate nel ‘900, quando ancora la disciplina era giovane. E d’altra parte, non possiamo pretendere, in queste condizioni, che gli ambienti scientifici ci prendano sul serio; e nemmeno che ci prendano sul serio i media, visto che nelle rubriche di informazione si vanno ricercando pareri autorevoli. L’autorevolezza bisogna dimostrarla. Certo è che esiste anche tanta buona psicologia clinica di tenore scientifico, ma spesso sono gli stessi psicologi ad ignorarla e a degrinarla. Quindi, su cosa vogliamo accampare l’esclusiva? Sull’estetica delle scuole di pensiero? Nella contemporaneità è decisamente troppo poco per accampare l’esclusività su di un campo culturale. Il fatto di mantenere la psicologia divisa in scuole di pensiero non fa che favorire l’appiattimento culturale della psicologia verso il basso, con il risultato che presto, molto probabilmente, saremo indistinguibili dagli esoteristi. In questa situazione, credo proprio che la deriva commerciale dei prodotti di formazione psicoterapici stia spingendo allo sfascio dell’identità dello psicologo, con l’inevitabile conseguenza della nascita delle tanto contestate (da noi psicologi) figure di pseudo-psicologi: se non siamo noi psicologi a ritirare la psicoterapia dal mercato della formazione, non possiamo poi lamentarci del fatto che abili speculatori vogliano ritagliarsi il proprio spazio commerciale. Siamo noi stessi a legittimarli, con buona pace dell’utenza dei servizi di salute mentale, e con buona pace di tutti coloro che, me compreso, hanno sempre cercato di intendere la psicologia come una scienza seria al servizio della salute pubblica.