Ottimisti grazie ai geni. E la psicoterapia diventa “inutile”

Fonte: TG5

Video del servizio

Se appena svegli vi sentite tristi e la giornata da affrontare vi sembra irta di ostacoli, beh, forse non è colpa del vostro spietato capoufficio, né della crisi sentimentale che state attraversando. È probabile infatti che, anche nella situazione migliore, voi vi sentiate insoddisfatti e demoralizzati. La colpa è tutta del gene dell’ottimismo. Lo sostiene un gruppo di psicologi inglesi dell’università dell’Essex, che hanno scoperto che le persone che affrontano la vita guardando il lato positivo piuttosto che quello negativo, devono il loro ottimismo ad una variante genetica. Insomma, quando veniamo al mondo il nostro destino è già scritto: tristi o felici, ottimisti o pessimisti, allegri o depressi. Secondo gli scienziati inglesi esiste una varante genetica cui sono collegati rischi di depressione e comportamenti suicidi; mentre un gene diverso è una sorta di assicurazione contro il pessimismo e il malessere. Come dire che il pessimismo cosmico di Giacomo Leopardi non nasce dalla sua educazione severa o dalle sue menomazioni fisiche: semplicemente è nato triste. Una scoperta che rischia di stravolgere l’eterna diatriba che divide psicologi e psichiatri sulla questione di affrontare depressione e altri malesseri con la psicoterapia o con i farmaci. Stando a questa nuova ricerca la psicoterapia si rivelerebbe inutile, mentre le medicine potrebbero agire modificando gli effetti negativi del gene. Forse è per questo che il più comune degli antidepressivi viene chiamato, non a caso, la pillola della felicità.

PARERE PRO VERITATE A CURA DEL PROF. PAOLO MIGONE

Ritengo che questo breve servizio giornalistico non dia una informazione corretta. È scritto con uno stile accattivante e suggestivo, ma non è un esempio di giornalismo scientifico divulgativo serio nella misura in cui arriva a concludere con queste parole: “Stando a questa nuova ricerca la psicoterapia si rivelerebbe inutile, mentre le medicine potrebbero agire modificando gli effetti negativi del gene. Forse è per questo che il più comune degli antidepressivi viene chiamato, non a caso, la pillola della felicità”.

Come è noto a chiunque abbia una conoscenza anche minima della letteratura scientifica sulle prove di efficacia, la psicoterapia è superiore ai farmaci nella terapia della depressione. Infatti, anche se in vari studi l’effetto dei farmaci e quello della psicoterapia al termine della terapia possono essere simili, al follow-up (cioè nei mesi successivi), i pazienti trattati coi farmaci presentano molte più ricadute di quelli trattai con la psicoterapia. Se si considerano poi i drop-out (cioè i pazienti che per vari motivi escono dalle ricerche, cioè che vengono perduti) la superiorità della psicoterapia si rivela ancor maggiore.

Dato poi che questo servizio accenna anche alla cosiddetta “pillola della felicità” (una espressione ad effetto che serve a illudere tante persone che soffrono), vale la pena menzionare anche qui un fatto che viene quasi sempre ignorato, e cioè che è dimostrato che queste pillole della felicità hanno un effetto poco superiore al placebo. In altre parole, la loro efficacia è solo “statisticamente significativa” e non “clinicamente significativa”, cioè minima. Uno studio (Kirsch et al., The emperor’s new drugs: an analysis of antidepressant medication data submitted to the US Food and Drug Administration. Prevention & Treatment, 2002, 5, 1) ha preso in esame tutte le ricerche per far approvare negli Stati Uniti queste “pillole della felicità”, cioè gli “inibitori selettivi del reuptake della Serotonina” (Selective Serotonin Reuptake Inhibitors [SSRI]) (alcuni nomi commerciali sono questi: Azur, Clexiclor, Cloriflox, Daparox, Deprexen, Diesan, Efexor, Elopram, Eutimil, Faxine, Flotina, Fluoxeren, Fluoxin, Grinflux, Pramexil, Prozac, Serad, Sereupin, Serezac, Seropram, Seroxat, Tatig, Zafluox, Zoloft, ecc.). Ebbene, questo studio ha dimostrato che il miglioramento dovuto al placebo aveva una dimensione pari all’82%, e quindi che solo il 18% della risposta positiva era dovuta ai farmaci. Un altro modo di dire la stessa cosa è che solo il 10-20% dei pazienti depressi che migliorano sente l’effetto del farmaco (da cui ne consegue che l’80-90% sente solo l’effetto placebo). Dunque l’effetto del farmaco, se è vero che si aggiunge all’effetto del placebo aumentando l’efficacia, lo fa però in un modo “clinicamente insignificante” (anche perché la superiorità del farmaco era comunque piccola, di soli due punti della scala di Hamilton). In altre parole, quello che fa la differenza è la relazione interpersonale (il placebo, quindi si potrebbe dire la relazione “psicoterapeutica”) tra terapeuta e paziente. A questi risultati si è giunti esaminando anche tutti gli studi che non erano stati pubblicati dato che non avevano prodotto i risultati che le case farmaceutiche si aspettavano. Infatti queste ricerche, che come è noto erano sempre finanziate dalle case farmaceutiche, ponevano la condizione, incredibile ma vera, che lo studio non poteva essere pubblicato se non dava i risultati sperati; Kirsch poté vedere questi studi grazie al Freedom of Information Act, una legge americana che tutela il diritto di accesso alle informazioni da parte dei cittadini. Nessuno ha negato la verità di questi reperti, anzi, alcuni autori (Hollon et al., The emperor’s new drugs: effect size and moderation effects. Prevention & Treatment, 2002, 5, 1) hanno ammesso che questo era il loro “piccolo sporco segreto” (dirty little secret). Questo studio è stato replicato alcuni anni dopo, con risultati simili, ed è stato pubblicato niente meno che sul New England Journal of Medicine, una delle più prestigiose riviste del mondo, che ospita spesso i lavori dei premi Nobel (Turner et al., Selective publication of antidepressant trials and its influence on apparent efficacy. New England Journal of Medicine, 2008, 358, 3: 252-260).

Queste informazioni sono disponibili a tutti, sono anche su Internet, ovviamente per chi voglia informarsi e fare del giornalismo serio. Ho descritto in modo più approfondito questa problematica in un articolo che volentieri invio a chi può essere interessato (Migone P., Farmaci antidepressivi nella pratica psichiatrica: efficacia reale. Psicoterapia e Scienze Umane, 2005, XXXIX, 3: 312-322).

Paolo Migone
Condirettore di Psicoterapia e Scienze Umane
http://www.psicoterapiaescienzeumane.it
Via Palestro, 14
43100 Parma
Tel./Fax 0521-960595
E-Mail migone@unipr.it

LETTERA ALLA REDAZIONE DEL TG5

Alla cortese attenzione di

Redazione TG5

Direttore TG5 Clemente Mimun

Cristina Bianchino

Gentili Dottori,

l‘Osservatorio Psicologia nei Media, in merito al vostro servizio del 26/02 sul gene dell’ottimismo a cura di Cristina Bianchino, invia alla vostra cortese attenzione il seguente parere pro-veritate del nostro esperto, Prof. Paolo Migone.

Qui trovate il link con ogni dettaglio, incluso il nostro parere di rettifica:

http://www.osservatoriopsicologia.com/2009/02/26/ottimisti-grazie-ai-geni-e-la-psicoterapia-diventa-inutile/

Certi della vostra assoluta buona fede nella diffusione di notizie errate e fuorvianti, confidiamo in una vostra rettifica.

A tal proposito siamo disponibili a mettere a disposizione il nostro supporto scientifico per il miglioramento della qualità informativa in materie psicologiche.

In attesa di vostra risposta,

Cordialmente

Dr. Luigi D’Elia

Coordinatore dell‘Osservatorio Psicologia nei Media

Fabio Fareri

Author: Fabio Fareri

Share This Post On
You are not authorized to see this part
Please, insert a valid App IDotherwise your plugin won't work.

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *